Lettera 43

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FENOMENO
di Attilio De Alberi 05 Aprile 2015 lettera 43

Edutainment, in Italia il modello fatica a diffondersi

Consiste nell’approccio ludico alla didattica, negli USA spopola ma da noi arranca.

A sentire studenti di tutte le età, uno dei motivi per cui non amano la scuola è semplice: non sono motivati nell’apprendimento perché si annoiano.

Chiaramente ce la si può prendere con i soliti pelandroni, ma è anche giusto chiedersi cosa possano fare i docenti per uscire da questa impasse.

«Coloro che fanno distinzione fra intrattenimento ed educazione forse non sanno che l’educazione deve essere divertente e il divertimento deve essere educativo», disse il secolo scorso il grande sociologo della comunicazione Marshall McLuhan.

FUSIONE TRA EDUCATION ED ENTERTAINMENT. Parole che suonano più che mai attuali a 35 anni dalla sua morte, con l’affermazione, sia a livello pratico che teorico, del concetto di edutainment, neologismo inglese che combina il termine education (educazione) con entertainment (intrattenimento, appunto, svago, divertimento, spettacolo).

A pensarci bene l’edutainment è un po’ come la scoperta dell’acqua calda. Basta ricordare le favole di Esopo e di Fedro o le parabole di Gesù, e se è per quello i dialoghi di Platone, a loro volta ispirati dalla maieutica di Socrate, educatore interattivo ante litteram. E poi le filosofie orientali, lo Zen in particolare, offrono tante belle storie volte a impartire con stile leggero, divertente appunto, profonde verità spirituali.

TERMINE USATO PER LA PRIMA VOLTA DALLA DISNEY. Il termine edutainment viene usato per la prima volta poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale dalla Walt Disney Productions che, a partire dal 1948 e fino al 1960, produce True Life Adventures, una serie di mini documentari sulla natura che si guadagneranno una sfilza di statuette Oscar.

Si arriva quindi al 1973, quando Robert Heyman usa la parola per descrivere i suoi documentari per la National Geographic Society. E al 1978, quando Chris Daniels fa lo stesso per riassumere la sua visione futuristica nel Millenium Project.

Dalle università alle imprese: Usa capofila dell’edutainment

Non è un caso (è il famoso zeitgeist, lo spirito del tempo) se proprio negli Anni 70 diversi gruppi negli Usa, nel Regno Unito e in America Latina, usano un approccio ludico per affrontare problemi nel campo sociale e sanitario, come la dipendenza da droghe, la vaccinazione, le gravidanze tra i minori, l’Aids e il cancro. Seguono a ruota diverse università statunitensi, Ong e perfino agenzie governative come i Cdc (Centers for Disease Control, Centri per il Controllo delle Malattie).

Con l’arrivo di internet, e soprattutto attraverso YouTube, il concetto di edutainment è diventato ordine del giorno. E naturalmente anche televisione, radio e videogame si sono uniti in modo diretto o indiretto nella diffusione del metodo, in particolare negli Usa, ma non solo.

NEI MUSEI SPOPOLA L’APPROCCIO INTERATTIVO. Nel campo radiofonico basti pensare alla soap opera britannica The Archers, che per decadi ha educato il pubblico in questioni agricole, mentre in Tanzania un’altra soap opera, Let’s go with the times, è stata scritta principalmente per insegnare alla gente la pianificazione famigliare.

Un capitolo a parte meritano musei e zoo, laddove, sempre negli Usa, è stato introdotto un approccio ludico e interattivo per aiutare le scolaresche in visita, ma anche gli adulti a capire meglio quello che si trovano di fronte. Naturalmente l’altro lato della medaglia è che è nata una competizione a livello di business per attrarre le masse con i dollari. Il pericolo è che si finisce per divertirsi troppo a scapito dell’educazione vera e propria.

IL MASS COMMUNICATION GAME IN AZIENDA. Non c’è da sorprendersi se l’edutainment è approdato nelle corporation. Per rendere le presentazioni con i PowerPoint meno noiose sono state introdotte animazioni e grafiche. Il premier Matteo Renzi, con le sue slide (e indipendentemente dalla sostanza di quel che dice) sembra averlo capito.

Sempre nel campo aziendale si è poi affermato il Mass communication game, un gioco di simulazione costruito a partire da dati e fatti specifici di un’azienda, che fa esplorare diverse alternative di comportamenti individuali, di gruppo, attuali e potenziali.

In Italia insegnanti ancorati al metodo didattico tradizionale

Per tornare alla scuola vera e propria, se da un lato, a livello ufficiale, Rai Educational si è adoperata nel campo dell’edutainment introducendo, per esempio, Il Divertinglese in collaborazione con il ministero dell’Educazione, negli istituti elementari si stanno sì diffondendo software dedicati, ma il corpo degli insegnanti sembra tuttora ancorato a un approccio didattico tradizionale.

Se si prende l’esempio dell’inglese, non sorprende che l’Italia sia agli ultimi posti in Europa per la conoscenza della lingua. Si insiste molto sulla grammatica e sulla sintassi, a scapito dell’applicazione pratica. E, oltre all’uso della musica e dei film in lingua originale, cosa più potrebbe aiutare l’apprendimento se non la simulazione ludica per eccellenza come il teatro?

FAVIA E L’ENGLISH THROUGH DRAMA. Giuseppe Favia, tutore bilingue d’inglese da oltre 40 anni, ha introdotto in diverse scuole private corsi di English through drama (Inglese attraverso il teatro) e organizza weekend di English Full Immersion in tutta Italia (incontri principalmente ludici e il meno possibile didattici con una sola regola: vietato parlare italiano): «Da quando ho scoperto l’edutainment mi si è aperto un mondo», racconta a Lettera43.it. «Mi ricordo di quando usavo ancora il metodo tradizionale: tanta fatica, lentezza nell’apprendimento, noia degli alunni. L’improvvisazione teatrale invece costringe le persone a parlare la lingua, a mettersi in gioco».

Con l’edutainment, continua Favia, «si torna un po’ bambini e si è anche più creativi. La grammatica e la sintassi? Sono importanti», chiarisce, «sono lo scheletro, poi bisogna aggiungere carne, muscoli, nervi. E non c’è modo migliore se non attraverso la pratica ludica».

IL LUDENDO DOCERE DI PIERO ANGELA. A parte la timidezza «credo che ci sia anche un banale problema di ego: molti, pur conoscendo bene grammatica e sintassi, esitano a parlare la lingua perché temono di far brutta figura. Ma chi se ne frega, dico io e aggiungo: imparate dal bambino che fa i primi passi: cade, si rialza, poi cade di nuovo, ma poi alla fine cammina. Easy, no? Oh, scusate, facile no?».

A questo punto vale la pena citare Piero Angela: «Personalmente, mi sono annoiato mortalmente a scuola e sono stato un pessimo studente. Tutti coloro che si occupano di insegnamento dovrebbero ricordare continuamente l’antico motto latino ‘ludendo docere’, cioè ‘insegnare divertendo’».

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